Visit Geraci Siculo
Salendo da Cefalù, lungo la S.S. 286, dopo la ridente cittadina di Castelbuono, la strada s’inerpica verso le montagne attraverso una magnifica sughereta, vero polmone del Parco delle Madonie. Ad un certo punto, oltrepassata una curva, appare un gruppo di case dominato dai ruderi di un castello: è Geraci Siculo.
A chi giunge dal lato Sud, è riservata una visuale ancora più maestosa: il borgo di Geraci, infatti, appare in tutta la sua possanza e in primo piano risalta proprio la visuale dei ruderi del castello, a lungo sede di potere della nobile e prestigiosa famiglia dei Ventimiglia, dominatori delle Madonie a partire dal XIV secolo.
Il nome Geraci sembra provenga dal greco “Jerax”, cioè “Avvoltoio”, e pare sia dovuto all’importante presenza del rapace che nidificava nel costone roccioso prospiciente il Castello e nel territorio circostante.
Oggi Geraci fa parte della rete dei “Borghi più Belli d’Italia” e del Circuito dei Comuni Fioriti.
Il borgo di Geraci Siculo è adagiato sulla schiena rocciosa di un colle e ha una struttura urbanistica caratterizzata da strade strette e tortuose, vicoli e cortili, dov’è ancora evidente l’impronta medievale. La visita di Geraci, quindi, può essere compiuta seguendo due diversi itinerari: a partire dall’ingresso Sud in corrispondenza del Bevaio della SS. Trinità oppure a partire dall’ingresso Nord nei pressi della Chiesa di S. Bartolomeo.
ITINERARIO DA SUD
Partendo da sud, il primo luogo da visitare è il Bevaio della SS. Trinità, fatto costruire dal marchese Simone Ventimiglia sulla base di un rettangolo di 20 m di lunghezza con due fontane laterali in pietra. Nei pressi del Bevaio si trovava un piccolo colle ove era posta la Chiesa della SS. Trinità, oggi eliminata e sostituita dalla Villetta Comunale SS. Trinità, un ampio spazio aperto dove si può sostare, magari leggersi un libro stesi sull’erba, chiacchierare, far giocare i bimbi.
Dal Bevaio, percorrendo l’acciottolata Via Biscucco e inerpicandosi tra le viuzze strette, si giunge al Castello dei Ventimiglia. Di probabile origine greco-bizantina, sotto i Ventimiglia il Castello divenne una possente fortezza militare. Domina sulle rovine, sugli angoli mozzati delle torri e sugli squarci nelle feritoie, la Chiesa di Sant’Anna, una chiesa piccola ma ricchissima di storia, ritenuta la Cappella Palatina dei Ventimiglia, dove si tramanda fosse custodito sin dal 1242 il teschio di Sant’Anna, poi trasferito a Castelbuono nel 1454. Una lapide in marmo, posta all’interno, c’informa che la Cappella sarebbe stata costruita dal Conte di Geraci, Francesco I Ventimiglia, nel 1311, dopo avere ereditato la Contea dal padre Alduino. Lascia perplessi l’anno di costruzione della Chiesa, perché fonti storiche ci dicono che, sin dal 1240, la reliquia di S. Anna fosse venerata e custodita nella Cappella Palatina del Castello, fatta costruire dall’Imperatore Federico II di Svevia. È probabile, quindi, che l’odierna Chiesa di Sant’Anna non fosse la Cappella Palatina, bensì una chiesa costruita successivamente entro le mura del maniero, quale ringraziamento alla Madre della Vergine Maria per qualche grazia ricevuta.
Immediatamente ai piedi del Castello sorge la Chiesa di S. Giacomo, recentemente riaperta al culto e alla fruizione, dopo essere stata chiusa per moltissimi anni a causa del cedimento della copertura. Nella Chiesa si conservano un prezioso Crocefisso ligneo trecentesco (opera della cosiddetta corrente del gotico doloroso siciliano), un affresco in stile bizantino (sec. XIV) e la settecentesca statua lignea di San Giacomo, Protettore di Geraci. Interessante l’affresco, posto nell’altare maggiore, dove viene raffigurata l’incoronazione della Madonna tra San Giacomo e Santa Chiara d’Assisi con l’Ostensorio in mano. Sullo sfondo sono visibili delle costruzioni, una fontana e un roseto. In alto, gli angeli che suonano e il Padre Eterno con il mondo in mano. Gli altri Santi raffigurati sono S. Francesco d'Assisi, San Giacomo, Santa Chiara e San Giovanni Evangelista. Nella parte inferiore destra c’è un’iscrizione a firma dell’autore: “JOSEPH THOMASIUS S.M. HABITATOR TORTORICI PINGEBAT 1587” ovvero “Giuseppe Tomasi S.M. abitatore di Tortorici dipingeva nel 1587”. Il fatto che venga rappresentata l’Assunzione di Maria e la presenza dei Santi francescani e di tutte le simbologie dei titoli della Madonna, fanno pensare che si tratti in realtà della macchina lignea dell'altare maggiore della Chiesa del Convento dei Padri Cappuccini di Geraci, che era dedicata, per l’appunto, a Santa Maria Assunta.
Percorrendo le viuzze medievali sottostanti al Castello, nell’antico quartiere arabo, si giunge alla Chiesa di San Biagio, la cui conformazione ci suggerisce che fosse più ampia e che, nel tempo, si sia ridotta all’attuale consistenza, diventando per il resto adibita a civile abitazione. È ad una navata e conserva unicamente la statua lignea di San Biagio del ‘600.
A poca distanza dalla Chiesa di San Biagio si passa da Piazza San Pietro (oggi Piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa), così denominata in origine a motivo della preesistenza di un’omonima chiesa oggi scomparsa. Scendendo, quindi, lungo la Via Maggiore si arriva in Largo Greco, che deve il proprio nome agli immigrati greci ivi stanziatisi, i quali, costretti alla fuga dall’avanzata turca, giunsero in Sicilia nel ‘400. Sullo slargo prospetta un palazzo signorile dai caratteri monumentali, databile alla fine del XV secolo, nel cui piano terra era stata creata una Falconiera che ha ospitato alcuni esemplari del rapace da cui molto probabilmente deriva il nome di Geraci. Oggi è aperta in occasione di alcune manifestazioni culturali organizzate dal Comune di Geraci Siculo.
A poche decine di metri da Largo Greco si apre alla vista il salotto del borgo ovvero Piazza del Popolo su cui si affacciano la Chiesa del Collegio di Maria (del 1738, a una navata) e la Chiesa Madre di Santa Maria Maggiore. La Chiesa Madre, consacrata nel 1495, è certamente di realizzazione più antica, come si desume dal portale della metà del XIV sec.; è a tre navate ed è stata ampliata a più riprese. Intorno alla metà del ‘500 acquisì uno stile barocco. I successivi interventi di ampliamento provocarono numerose lesioni alla struttura che nel 1966 minacciò di crollare. Nel settembre dello stesso anno la chiesa fu chiusa al culto. I lavori di restauro riportarono la struttura all’originaria bellezza. In stile barocco sono rimaste le cappelle laterali. Le finestre, rifatte sullo stile originario, sono diventate 23. L’altare maggiore è stato recentemente sostituito con un blocco di pietra proveniente dalla cava di Geraci, a causa dei danni riportati dall’originale, ricavato da un sarcofago del 1511, prima spostato in sacrestia e ora allocato nella Chiesa di San Giacomo. È ricca di opere di grande interesse, come il fonte battesimale in marmo alabastrino della bottega dei Gagini (fine XV sec.) e altre splendide statue di marmo della stessa bottega raffiguranti la Madonna della Neve e la Madonna della Mercede con il Bambino, nonché le statue in legno di ignoti intagliatori siciliani del XVII e del XVIII sec.; monumentale è il Coro ligneo del 1650, così come degno di nota è il quadro raffigurante l’Annunciazione, di ignoto pittore del XVI sec.: il quadro rappresenta la Madonna in ginocchio che riceve la visita dell’Angelo Gabriele. Proveniente dalla Chiesa del Priorato Benedettino della Cava, la tela fu introdotta a Geraci in processione solenne la seconda domenica di luglio del 1837. La tradizione narra che, appena introdotto il quadro nel borgo, miracolosamente cessò l’epidemia di colera che da tempo affliggeva la popolazione. Da allora Maria SS. Annunziata è Compatrona di Geraci. Nella Chiesa non si possono non visitare, altresì, il Tesoro dei Ventimiglia, che raduna importanti suppellettili liturgiche d’oro e d’argento e numerosi paramenti sacri finemente ricamati, nonché l’Archivio Parrocchiale, recentemente risistemato con metodologie scientifiche e reso fruibile a tutti, in particolare a cultori e studiosi.
Uscendo dalla Chiesa Madre e imboccando Corso Vittorio Emanuele, s’incontra la seicentesca Chiesa di S. Stefano, unico esempio madonita di chiesa a croce greca irregolare con un campanile a conci policromi. Conserva una pregevole scultura lignea di ignoto autore raffigurante S. Stefano (sec. XVI) e una tela attribuita a Giuseppe Salerno (1609), uno dei due artisti madoniti soprannominati lo Zoppo di Gangi.
ITINERARIO DA NORD
Un altro itinerario turistico per visitare il borgo di Geraci può partire dalla periferia nord del paese ovvero dalla Chiesa di S. Bartolomeo e dal Convento degli Agostiniani recentemente restaurato. Nella Chiesa di San Bartolomeo, collocata al di fuori delle originarie mura cittadine, il solito anonimo ma esperto intagliatore ha scolpito nel legno policromo il Santo cui è dedicata la Chiesa (sec. XVIII) e che è Patrono di Geraci.
Pregiatissimo è il polittico marmoreo sull’altare maggiore attribuito ad Antonello Gagini (fine sec. XV). La tradizione vuole che in questa Chiesa sia stato sepolto Francesco I Ventimiglia nel 1338. È molto probabile, però, che la Chiesa fosse preesistente perché riporta nel suo impianto originario elementi architettonici medievali di tipo normanno. L’ingresso originario, oggi adibito a sacrestia, era dal lato opposto a quello attuale ed era sottostante la torre campanaria. L’adiacente Convento degli Agostiniani risale al periodo tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo. Era abitato dai frati trasferitisi dal Convento di Sant’Onofrio, sito nell’omonima contrada sotto il Bevaio della SS. Trinità. Dal punto di vista urbanistico, l’ex Convento conserva la sua antica struttura planimetrica e altimetrica e conserva ancora l’originaria distribuzione degli spazi interni (corridoi, celle, vani scala etc.). Dopo essere stato in rovina per moltissimo tempo, è stato recentemente restaurato ed è divenuto sede di iniziative culturali del Comune di Geraci Siculo.
La citata bottega dei Gagini offre un altro capolavoro in marmo policromo nel trittico dell’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria La Porta, che si trova poco oltre, sulla via S. Bartolo. Costruita nel 1496 in adiacenza a un dirupo, studi architettonici hanno ipotizzato che abbia assorbito una precedente costruzione difensiva. Infatti, è così chiamata perché annessa a una delle porte d’ingresso alla cittadina, oggi non più esistente, a sua volta collegata alle torrette ancora oggi ricordate nella toponomastica. La Chiesa è ad una navata a croce latina, con il soffitto ad affreschi raffiguranti quattro scene bibliche dell’Antico Testamento. Al menzionato trittico dell’altare maggiore, si aggiunge in questa Chiesa un’altra eccellente scultura in marmo ovvero la Madonna con il Bambino, attribuita a Domenico Gagini (1475). Si devono a maestri siciliani le sculture di legno dipinto. Notevole e drammatico è il Cristo crocefisso, scultura lignea del XVII sec., attribuito alla scuola di Frate Umile Pintorno, portato in Solenne Processione il 3 maggio di ogni anno. Anche la Madonna in trono col Bambino ritorna: questa volta in un affresco del XV secolo.
Proseguendo lungo l’odierna Via Francesco Ventimiglia, sulla destra si nota il caratteristico Vicolo Archi e subito dopo s’incontra la Biblioteca Comunale e l’adiacente “Salto del Ventimiglia”: si tratta di un suggestivo affaccio panoramico realizzato in Vicolo Mandolilla in ricordo dell’avvenimento che in quel punto, secondo la tradizione storiografica basata sugli scritti del Fazello e di Michele da Piazza, si narra essere avvenuto nel 1338, quando Francesco Ventimiglia, pur di sfuggire alla cattura delle truppe regie di Pietro II d’Aragona, preferì lanciarsi nel vuoto con il cavallo precipitando nel profondissimo dirupo sottostante.
Proseguendo si giunge alla Rettoria di S. Giuliano con l’annesso Monastero delle Benedettine. La Chiesa è a un’unica navata ed era l’originaria chiesa parrocchiale di Geraci, prima che la Parrocchia venisse trasferita presso la Chiesa di Santa Maria Maggiore. La sua esistenza è attestata sin dal 1338. All’interno sono presenti degli stucchi decorativi realizzati dal palermitano Francesco Alaimo nel 1749. All’interno sono presenti diverse opere: statua lignea di San Lorenzo del 1492; tela rappresentante l’Annunciazione della Madonna del 1755; statua in legno raffigurante San Giovanni Evangelista, restaurata e indorata nel 1764; tele del 1834 raffiguranti San Benedetto, San Mauro, San Placido, San Giovanni Crisostomo e San Giuliano. L’altare è in marmo con quattro colonnine doriche e nella parte sottostante è presente un’urna con il simbolo di San Benedetto. Il tabernacolo è in marmo e presenta l’agnello dell’Apocalisse con i sette sigilli. Il pulpito è In ferro battuto del 1652. L’organo è di antichissima costruzione e tuttora funzionante. Sull’altare è posta la scultura della titolare dell’annesso Monastero, Santa Caterina, del 1505-1506, attribuita a Giuliano Mancino. Nella sacrestia della Chiesa è presente un altare in legno del 1700 con cinque pannelli colorati raffiguranti Santa Gertrude, Santa Agnese, il Redentore, Santa Cecilia e Santa Scolastica. Il Monastero di Santa Caterina, annesso alla Rettoria di San Giuliano, venne ufficialmente fondato il 26 ottobre 1498, sotto la regola di San Benedetto. Ampliato a più riprese nel corso del tempo, è stato chiuso nel 2015 a seguito del venir meno della Comunità Benedettina e dei presupposti canonici per il suo mantenimento in vita.
Imboccando la Via Aurora e la Via Platano si giunge alla Chiesa di S. Francesco, comunemente conosciuta anche come Chiesa di Sant’Antonino. La Chiesa si trova in cima a una rupe ed è adiacente a Piazza Sant’Antonino, dove la conformazione urbana ha creato un suggestivo “palcoscenico” naturale da cui si accede a un belvedere mozzafiato. La Chiesa, di antica origine, è ad una navata ed è stata restaurata a più riprese. Tra le opere all’interno ricordiamo: tela raffigurante la Madonna del Lume del 1757; statua lignea raffigurante S. Antonio da Padova, della fine del XVIII secolo, di ignoto scultore della scuola del Quattrocchi; statua raffigurante S. Francesco.
Proseguendo per Via Fabbriche, si può giungere ad ammirare la Torre di Engelmaro. Si tratta di un antico edificio militare su quattro livelli, oggi adibito a civile abitazione. È costruita su una collina situata a valle della Piazza del Popolo e vi si accede da una scalinata, già ricordata nella toponomastica come “Salita Torre”, oggi Scalinata Costanza Chiaramonte. L’edificio deve il nome a un certo Gregorio Engelmaro, nobile condottiero, a cui il Conte Ruggero donò una quarta parte di Geraci e diede in moglie Aldusa, vedova del Conte Serlone, morto in una imboscata tesagli dai Saraceni vicino l’odierna Nicosia. Engelmaro, insuperbitosi per il privilegio ricevuto, cercò di legare a sé i geracesi e fece costruire una torre più alta di quella fatta costruire dal Conte Ruggero. Questi allora ordinò a Engelmaro di demolirla ma invano. Il rifiuto irritò il Conte che assediò Geraci e distrusse il Castello. Era l’anno 1081. Engelmaro fuggì, lasciando la propria famiglia. La Contea di Geraci passò, quindi, ad Eliusa, figlia di Serlone.
Scendendo dalla Scalinata Costanza Chiaramonte, si giunge a Piazza Municipio, ove sussiste il Palazzo Comunale. Dall’adiacente Via Normanni si raggiunge la Chiesa della Madonna della Catena, conosciuta anche come Chiesa di S. Rocco, una fra le più piccole e antiche chiese esistenti a Geraci: infatti, è a una sola navata e risale XIV secolo. All’interno della Chiesa sono presenti: le mensole lignee trecentesche; la statua in legno raffigurante San Rocco, della metà del XVII secolo, di ignoto scultore palermitano; la pregiata tela ovale raffigurante la Madonna della Catena del XVII secolo. La Chiesa si trova in posizione adiacente all’antica Porta Baciamano, così chiamata in ricordo degli avvenimenti accaduti nel 1337, quando Francesco I Ventimiglia venne accusato di tradimento per essersi rifiutato di prendere parte ai Parlamenti indetti dal re. Questi, aizzato dai Chiaramonte e dai Palizzi, acerrimi nemici dei Ventimiglia, assediò Geraci che capitolò poiché i suoi abitanti, non volendo partecipare alla battaglia, aprirono le porte della città alle truppe assedianti. La “Porta Baciamano” è proprio quella da cui entrarono gli assedianti, che s’inginocchiarono davanti al re, baciandogli la mano in segno di sottomissione. Da quell’avvenimento nacque la narrazione storica del “Salto del Ventimiglia”. Il Conte, infatti, cercando di mettersi in salvo perse la vita il 3 febbraio 1338. L’episodio della morte non è molto chiaro. Alcuni dicono che si sia gettato dalla rupe (oggi Vicolo Mandolilla) con il cavallo bendato; altri dicono che sia stato derubato e ucciso da due giovani; altri ancora, e sembra più probabile, che durante l’assedio sia stato trovato ferito dal Conte Valguarnera e dato in mano ai soldati che fecero scempio del suo corpo.
ITINERARIO EXTRA-URBANO
Un ulteriore possibile itinerario turistico porta il visitatore al di fuori delle mura del Borgo per proiettarlo dapprima nel suggestivo scenario del Convento dei Padri Cappuccini e poi nella natura incontaminata delle montagne geracesi.
Il Convento dei Padri Cappuccini di Geraci è situato all’esterno dell’abitato e risale al XVII secolo. Venne costruito dal Marchese di Geraci, a partire dal 1689, dietro permesso di Papa Innocenzo X. Aveva originariamente 27 religiosi che vivevano di lavoro della terra e di carità. L’edificio si svolge a ferro di cavallo con a centro uno spazioso cortile. A sinistra c’è la chiesa settecentesca, oggi sconsacrata, dov’è possibile intravedere ancora piccole parti di fini stucchi, a destra il refettorio con alle pareti due affreschi settecenteschi raffiguranti l’Ultima Cena e la Crocifissione. Al piano superiore una miriade di piccole celle servivano da dormitorio ai religiosi. Nel 1866 per la soppressione degli ordini religiosi il convento fu chiuso e la proprietà venne trasferita al Comune. Oggi la struttura è stata restaurata e riportata all’antico splendore. Da qualche anno, oltre al “Centro congressi“, ospita le seguenti collezioni: il “Museo Etnoantropologico delle Madonie”, istituito nel 1985, che raccoglie e presenta, con criteri scientifici e tecniche espositive di valore didattico, testimonianze e reperti della cultura e della civiltà agro-pastorale e artigiana locali. Tra i reperti attinenti alle antiche tradizioni geracesi si segnala un pezzo unico e raro per tutto il territorio delle Madonie ovvero la maschera funeraria di cera col relativo calco in gesso del sec. XIX; la Libreria dei Padri Cappuccini e l’Archivio Storico Comunale dei Ventimiglia, che consta di oltre 1.500 volumi che datano a partire dal sec. XVI fino al sec. XIX. Nel ricco patrimonio librario antico si segnalano alcune opere del ‘500 (Cinquecentine) e il prezioso volume del 1596, Federico II “De arte venandi cum avibus”. Recuperato, inventariato e catalogato scientificamente sin dal 1982, infine, l’Archivio Storico Comunale di Geraci Siculo conserva gli atti dell’attività politico-amministrativa di Geraci dal sec. XVI fino alla seconda metà del ‘900, con pregevoli antichi fondi archivistici attinenti ad antiche istituzioni geracesi. Da segnalare anche un prezioso atto cartaceo con l’antico sigillo a secco dell’“Universitas Hyeracij”.
La religiosità geracese si esprimeva anche attraverso luoghi di preghiera costruiti nelle varie contrade geracesi. Delle molte chiese sussistenti, oggi se ne conservano solo alcune. Da menzionare, innanzitutto, la Chiesa di Santa Maria della Cava, antico cenobio di fondazione normanna (1090), che sembra emergere dal fondo del bosco come una visione d’altri tempi, col suo portale gotico e i resti di affreschi bizantini. Ancora, non si può non citare la piccola Chiesa dei Santi Cosma e Damiano con il suo portale gotico. La Chiesa ospitava una tela raffigurante i due Santi, trafugata da ignoti nel 1983. Qui ogni anno – in passato, il 27 settembre, oggi, in un giorno del mese di agosto – si celebra la Santa Messa in onore dei due Santi medici. È anche un “pretesto” per trascorrere una piacevole giornata a contatto con la natura e con i sapori tipici dell’enogastronomia geracese.
In montagna ci sono ancora i “marcati”, luoghi dove i pastori rinchiudono gli armenti e producono, secondo natura e tradizione, ottimi formaggi (ricotta, caciocavallo ecc.). Molto gustoso il primosale ripieno di acciughe e cotto alla brace, per non parlare delle olive e dei pomodori essiccati al sole, da mangiare con cubetti di pecorino stagionato, anch’esso arrostito sulla brace. Solo qui, inoltre, cresce un fagiolo verde largamente usato in cucina, ad esempio nel sugo di carne e patate (“pittrina ca fasola”). Notevole e pregiato anche il vino prodotto nella zona. Meritano di essere ricordati anche altri piatti a base di carne (costolette di castrato, salsiccia di maiale alla brace e gli squisiti “sasizzuneddra cu daviru” ovvero salsicciotti di carne tritata avvolti in foglie d’alloro) e di formaggio (oltre alla menzionata “tuma con le acciughe” anche la “tuma con lo zucchero”). Il ragù di castrato va a condire anche il più tipico dei primi piatti, i “maccarruna” di casa, una pasta fresca che assomiglia a grossi bucatini. Tra i dolci vanno citati indubbiamente quelli al miele e quelli alle mandorle chiamati “serafineddi”, i “muccunetta”, la “cassatina antica” e gli “agneddri” pasquali.